Giovanni da Cavino è uno dei più importanti medaglisti del Rinascimento. Nasce l’anno 1500 a Cavino, frazione di San Giorgio delle Pertiche, nel padovano. Il toponimo cavino è tratto da una scolina tipica del territorio, un fosso largo circa due metri scavato per la sistemazione idraulica del terreno agrario. Giovanni trascorre tutta la vita a Padova. Casa e laboratorio sono sul sagrato del Duomo. Prima inizia a lavorare come orefice. Poi diviene apprezzato incisore di conii di monete imperiali romane, da lui imitate ma anche inventate, e di medaglie. Per queste ultime utilizza anche la tecnica della fusione. Muore in città nel 1570.
Nei decenni successivi alla scomparsa i suoi nipoti e i diversi imitatori proveranno a continuarne l’attività. Utilizzeranno persino i suoi stessi conii, ma non raggiungeranno mai un’eguale nitidezza e perfezione tecnica.
Padova ai tempi di Giovanni da Cavino
A partire dal decennio padovano di Donatello, a metà Quattrocento, a Padova si sviluppa un’importante produzione bronzistica. Per quasi due secoli, fino cioè al primo Barocco, la città diviene il principale centro di questa espressione artistica. Vengono eseguiti raffinati manufatti, anche d’uso quotidiano. Piccole sculture, placchette decorative in bassorilievo e appunto “cavini”. La loro ideazione nasce a stretto contatto con i circoli colti e con i collezionisti cittadini che perseguono il recupero dell’antichità. Tale “moda” raccoglie adepti anche al di fuori dei confini locali. Tra i maggiori bronzisti padovani non possiamo non ricordare i celebri Bartolomeo Bellano, allievo di Donatello, e Andrea Briosco detto il Riccio. Possiamo ammirare le loro opere anche all’interno della Basilica del Santo, dove rifulge l’opera magnifica del Maestro toscano. Ma i bronzisti d’ambito padovano sono numerosi.
La conversione di Giovanni da Cavino
Come abbiamo detto, Cavino inizia la propria attività come orafo. Solo successivamente diviene incisore di conii e fonditore. A convertirlo sono con ogni probabilità due protagonisti della Padova del Rinascimento. Il primo è l’amico giureconsulto Marco Mantova Benavides. A lui si deve la chiamata in città di Bartolomeo Ammannati per realizzare il mausoleo nella chiesa degli Eremitani e lavorare nel suo palazzo. Qui, nel cortile, lo scultore fiorentino lascia un’imponente statua di Ercole in pietra e un grandioso arco trionfale. Il secondo protagonista della conversione di Cavino è il collezionista antiquario Alessandro Maggi. La sua “Casa degli Specchi”, non lontana dal Duomo, costituisce ancora oggi una splendida testimonianza di dimora rinascimentale.
Secondo gli studiosi sarebbe proprio grazie alla loro influenza che Cavino avrebbe lasciato l’oreficeria per emulare gli antichi nel coniare le monete. Per cercare cioè di eguagliarli in questa difficile espressione artistica.
Imitazione e invenzione di sesterzi imperiali romani
Alla metà del Cinquecento due eruditi si confrontano sulla funzione delle medaglie ai tempi degli antichi Romani. Il parmense Enea Vico scrive che esse erano delle vere monete con possibilità solutoria. Il veneziano Sebastiano Erizzo, di contro, sostiene che esse possedevano allora solo una funzione commemorativa degli augusti. La questione infiamma i circoli colti. In questo contesto Cavino produce le sue perfette imitazioni di sesterzi romani, e talvolta anche di monete greche.
La lega di metallo usata è la stessa degli originali romani e ciò dimostra il riutilizzo di monete antiche. La tecnica elegante e pulita usata nell’incisione dei conii e nell’esecuzione delle monete rivela il desiderio di imitare i Romani. Di emularli confrontandosi con loro. Non si vogliono creare dei falsi per frodare i collezionisti, come in passato qualcuno aveva sostenuto. La presenza di sesterzi completamente inventati o rielaborati da Cavino conferma questa interpretazione oggi condivisa dagli studiosi.
Le medaglie di Giovanni da Cavino
Nelle medaglie di Cavino si vedono dei ritratti o vengono commemorati degli eventi. Qui modelli e composizioni sono suggeriti anche da committenti eruditi. Nel verso (rovescio della medaglia) si osserva spesso una simbologia di difficile interpretazione, cara ai partecipanti dei circoli più elevati. Caratteristica, questa, tipica di molte opere d’arte del Rinascimento, dove simboli e figure allegoriche rimandano a significati reconditi. L’artista padovano gode di larga fama e conta tra i suoi committenti persino l’imperatore Carlo V e il Papa.
Per Giulio III Giovanni Cavino esegue la medaglia con l’Anglia resvrgens, eseguita in occasione della restaurazione del culto cattolico in Inghilterra (1544). Tutta la sua produzione medaglistica si colloca tra il 1532 e il 1565.
I medaglioni Navagero e Fracastoro
Le medaglie realizzate di Cavino con la tecnica fusoria sono solamente tre. Una, andata perduta, era sul monumento funebre del Riccio nella chiesa di San Giovanni da Verdara (1532 circa). Le altre due sono oggi conservate ai Musei Civici, nel Museo Bottacin. Presentano i ritratti di profilo del poeta veneziano Andrea Navagero e del medico veronese Girolamo Fracastoro (1552-53). E sono di ampio diametro (48 cm).
Anticamente ornavano la Porta di San Benedetto, posta sulle mura di Padova dirimpetto ai monasteri di San Benedetto Vecchio e Novello. La felice ispirazione nella resa dei soggetti copre le piccole imperfezioni dovute all’incertezza della tecnica fusoria, poco utilizzata da Giovanni Cavino.
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Grazie Katherine!