Dal taccuino d’un padovano, note di cronaca – itPadova

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MEMORIA STORIA

Dal taccuino d’un padovano, note di cronaca

Palazzo Della Ragione In Un Disegno Di Giacomo Manzoni 1869

Dal taccuino d’un padovano: note di cronaca (1850-1900) è un racconto d’appendice di autore anonimo uscito sul quotidiano “La Libertà” a partire dall’agosto 1901. “Fra qualche giorno cominceremo la pubblicazione di note di cronaca padovana tratte dagli appunti di chi assistette allo svolgersi della vita cittadina in questi cinquant’anni. Sono noterelle, impressioni, ricordi, scritti con stile semplice e senza alcuna pretesa. Coloro che ormai hanno grigi i capelli vi troveranno rappresentato quel mondo patavino in mezzo al quale vissero i loro primi anni. Forse vi vedranno accennate persone e cose che ormai impallidiscono nelle rimembranze d’un passato che sempre più s’allontana. I giovani potranno senza fatica apprendervi un po’ della storia recente della loro città.” La sensibilità verso gli ultimi e una profonda umanità colorano i ricordi dell’autore. Di seguito abbiamo tratto alcuni brani dal taccuino d’un padovano.

Dal taccuino d’un padovano

“Gli avvenimenti politici del 1848 e del ’49 segnarono la fine di quella vita eccessivamente tranquilla condotta fino allora dalla cittadinanza padovana, la quale non s’era scossa – dopo la vergogna di Campoformio e la Restaurazione – se non per l’apertura del caffè Pedrocchi, la costruzione della ferrovia tra Padova e Venezia e l’impianto della illuminazione a gas. I nostri buoni nonni, amanti della quiete e stranamente abitudinari, non cercavano novità. E perciò i loro gusti in fatto di edilizia e di divertimenti erano molto limitati. Si occupavano, invece, parecchio di funzioni religiose. Nella coreografia chiesastica trovavano molte distrazioni che oggi ci fanno sorridere. Le processioni nel centro della città, come nei borghi, erano frequentissime. Perciò moltiplicavansi le luminarie nelle vie, le belle mostre nei negozi, specie in quelli dei salumieri.”

Il Caffe Pedrocchi Nel Secondo Ottocento
Il Caffè Pedrocchi nel secondo Ottocento

“Il governo austriaco – dopo quel po’ po’ di convulsione del 1848 – si rallegrava d’un tal metodo di vita e lo incoraggiava abilmente, mandando le musiche militari a rallegrare le feste ed i soldati a fare ala. E a presentare l’arma agli spettacoli religiosi, che servivano a distrarre il popolo dalla politica ed a tener sopito il sentimento patrio. I viveri costavano poco, perché tutto rimaneva nel nostro mercato. Le pretese degli operai erano limitate, e non grande il merito dei lavori che essi producevano. Di vino e carne s’aveva in abbondanza. E gli affitti delle case e delle botteghe eran modicissimi così da non immaginarli oggi.”

Il Caffe Pedrocchi Al Tempo Del Taccuino Dun Padovano
Il Caffè Pedrocchi al tempo del Taccuino d’un padovano

“Ancora tutte le contrade ed i vicoli lontani dalle piazze venivano illuminati ad olio. La manutenzione stradale era orribile, la pulizia assai trascurata ovunque. Il servizio delle vetture pubbliche male organizzato con carcasse pesanti che scombussolavano i disgraziati i quali dovevano ad esse ricorrere. Un solo omnibus esisteva per andare alla ferrovia, alto come un primo piano, guidato dal vecchio Giosafatte Fai, o dal corpulento Ponente. Le corse erano due al giorno per andare a Venezia. Nei periodi di fiera la città era più animata per il concorso dei provinciali e per l’esposizione delle merci sotto i portici, nelle piazze, in baracche poste ad arbitrio qua e colà.”

Padova Piazza Dei Frutti con la torre dell'Università e quella comunale
Padova Piazza dei Frutti con la torre dell’Università e quella comunale

“Contribuiva nelle giornate belle a dare un aspetto variato e caratteristico alla città, il costume di stendere sui davanzali delle finestre vesti e tappeti multicolori. E nelle vie più interne la biancheria stesa per l’asciugamento, perché allora non vigeva alcuna norma di polizia urbana. In Piazza dei Frutti, ancora nel 1848, esistevano delle case altissime costruite in legno (ora Scalfo), abitate da cittadini poveri. E in quelle lo spettacolo era ancor più variato, perché venivano esposti al sole, fasce, pannicelli, scialli chiassosi delle popolane, coperte e financo materassi.”

I negozi cittadini narrati dal taccuino d’un padovano

“I negozi poi offrivano a lor volta un aspetto che a noi parrebbe assai strano. Le balconate si aprivano in due ribalte. L’una andava ad assicurarsi al soffitto, l’altra a ridosso del muro verso terra. Il garzone più giovane era addetto a collocare bene le imposte. Mansione abbastanza seria, perché era facile sbattere sulla testa e sulle gambe dei cittadini quei massicci serramenti. Con grandi lamine di ferro erano foderate le porte e le vetrine degli orefici, che si chiudevano con una quantità di catenacci disposti in tutti i sensi, muniti di lucchetti colossali. Tuttavia un furto, che commosse grandemente Padova, accadde nell’oreficeria Zanon sotto il Municipio.”

Dal Taccuino dun padovano, come si presentava Piazza delle Erbe con il Salone e il Municipio
Dal taccuino d’un padovano, come si presentava Piazza delle Erbe con il Salone e il Municipio

“I ladri, entrati alla vigilia del Natale, lavorarono tutta la notte ed il giorno seguente di lima e di scalpello. Uscirono, pare, la seconda festa, lasciando tracce di un lauto banchetto, e vuota affatto la bottega. Ma il vecchio Zanon, un uomo alto, scarno, allampanato, non si sgomentò punto. Con la riserva che egli teneva in casa in breve rifornì il negozio attirando a sé maggior concorso di prima. Alle balconate che abbiamo descritte, faceva degno riscontro la primitiva illuminazione interna dei negozi, fatta con candele di sego, puzzolenti e gocciolanti. I negozi dei merciai Boscaro, Saccardo, Magistris godevano di questa luce sepolcrale, tenendo sul banco dei candelieri disposti a breve distanza. I giovani praticanti avevano l’incarico di moccare ad ogni tratto, mediante apposite forbici, distribuite sul banco stesso.”

I tristi ricordi sul colera e i pregiudizi della popolazione

“Nel 1855 scoppia improvvisamente una furiosa epidemia colerica. Muoiono diverse centinaia di cittadini d’ogni classe. La veemenza del male impressiona fortemente la cittadinanza. I casi di morte repentina erano moltissimi. E terrorizzavano. Taluni che erano sani al mezzogiorno, alla sera erano già denunciati per morti. L’igiene lasciava assai a desiderare, anzi può dirsi che fosse allora una scienza sconosciuta. Immaginatevi che portavano via il coleroso, e subito dopo piombava nel mezzo della via il pagliericcio ed il materasso. Con spavento di tutti i vicini, i quali pure intuivano che quell’operazione era pericolosa. Le disinfezioni si limitavano a qualche incendio di letti, alla lavatura delle lane nei canali. E questo era tutto.”

Padova Il Palazzo Vescovile Al Tempo Del Taccuino Dun Padovano
Padova Il Palazzo Vescovile al tempo del taccuino d’un padovano

“Il popolo, tenuto nell’ignoranza da un governo che non aveva interesse ad istruirlo ed educarlo, accusava i medici di somministrare un certo veleno ai colpiti per spacciarli più presto. E in tale credenza i colerosi rifiutavano i soccorsi della scienza. Né per questo cessavano le funzioni religiose, le sagre al Portello, a Codalunga, a S. Catterina, dove si consumavano amoli, angurie e melloni in enorme quantità. In ogni via si recitava il rosario davanti a immagini e altarini. Come si fosse in pieno Medio Evo. Con quanto danno per la salute pubblica ognuno può immaginare. Le autorità lasciavano che l’acqua andasse per la sua china. Il popolino, spaventato dalla malattia, non pensava al momento che a salvare la pelle. E i tedeschi credevano propizia l’occasione per mettere salde radici nel Veneto. Cessata l’epidemia, ritorna la calma nei padovani.”

L’inverno porta in città i zoldani

L’autore del taccuino d’un padovano ricorda così l’arrivo dell’inverno. “Sento gridare biscotti e zaletti. Ciò significa che siamo nell’inverno, e la colonia dei zoldani ha preso possesso dei forni, dove fabbrica quella pasta di polenta con qualche raro grano di uva, passione dei figli del popolo e loro merenda. Questi montanari seguono due stagioni. L’inverno quando vengono, la primavera quando partono. Sono guidati e amministrati da un padrone che li mantiene e in fine del servizio regala una mancia. Nei 150 giorni che stanno fra noi essi s’occupano esclusivamente di quest’industria. Alla mattina dalle sei alle otto vendita dei zaletti. Poi alle 10 i biscotti, dei quali fanno consumo in particolare gli studenti del ginnasio e delle scuole tecniche. Al dopo pranzo le mele cotte in apposite stagnate che portano a tracolla.”

Dal taccuino dun padovano Una stampa di Piazza dei Signori nel secondo Ottocento
Dal taccuino d’un padovano Una stampa di Piazza dei Signori nel secondo Ottocento

“Ciascun venditore ha i suoi clienti affezionati e le famiglie, cui recapitano una o l’altra delle specialità. A far credito non sono autorizzati che i capi squadra, perché dessi hanno oramai la pratica del fido. E’ deplorevole che talora sia oltraggiata, per gelosia di mestiere, questa buona ed innocua gente, esempio di costumi semplici, e di rara onestà. I zoldani tollerano ad esuberanza gl’insulti, che se qualche volta mettessero in esercizio i loro formidabili muscoli, chissà che la lezione non riuscisse [sic] proficua.”

Un atto compassionevole verso i più poveri

“Gli amministratori del Monte di Pietà credono di offrire alla memoria di Re Umberto qualche cosa di più che non sia una semplice espressione di compianto, ma si raffermi nella sostanza non fuggevole d’una opera rivolta a profitto dei poveri, e deliberano la restituzione gratuita di tutti i pegni assunti fino al 31 luglio [1900] colla sovvenzione di 50 centesimi e di una lira. E perciò convenne istituire un ufficio di liquidazione all’aria aperta nel cortile dell’Istituto, perché il lavoro straordinario avrebbe portato un serio ingombro nell’interno delle sezioni. I pegni usciti furono 5164 […] Fu assai commovente la distribuzione di tali pegni, durata parecchi giorni. E la maggior parte di essi consistevano in biancheria, vestiti, utensili di lavoro e di cucina. I beneficati rappresentavano la miseria più compassionevole che si possa immaginare. Questo atto di beneficenza per onorare la memoria del Re fu assai lodato dalla cittadinanza.”

Dal taccuino d’un padovano, note di cronaca ultima modifica: 2021-01-25T11:04:47+01:00 da Paolo Franceschetti

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Doati Marco

dal taccuini di un Padovano, veramente interessante🙂

Paola Stranges

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