Arturo Martini è il principale scultore italiano del Novecento. Nasce a Treviso nel 1889 da umile famiglia. Apprende l’arte della formatura da Antonio Carlini – al quale il Bailo ha dedicato la mostra precedente – e frequenta a Venezia i corsi dell’Accademia. Nel 1909 è a Monaco di Baviera. Nel 1912 a Parigi scopre le tendenze più recenti, come il Cubismo. Ha brevi rapporti col Futurismo e nel primo dopoguerra aderisce a Valori Plastici riscoprendo la scultura antica e superando il precedente Naturalismo. Da qui inizia il percorso dell’esposizione, comparabile per numero di pezzi solamente alla grande mostra allestita, sempre a Treviso, nel 1967. Curata da Nico Stringa e da Fabrizio Malachin, direttore dei Musei Civici, la rassegna può leggersi in duplice modo. Sia seguendo la linea di ricerca martiniana, sia soffermandosi sull’accostamento di opere di medesimo soggetto eseguite anche in tempi assai distanti (Il figliuol prodigo; Tobiolo).
Le sezioni tematiche
Al primo piano del Bailo restano collocati i lavori del giovane Martini che fanno parte della collezione permanente e nel cortile claustrale l’Adamo ed Eva.
Compongono il percorso del piano terreno le sezioni sui grandi capolavori, come Il figliuol prodigo e Donna che nuota sott’acqua. E ancora – per citarne alcuni – La pisana, Donna al sole, Tobiolo, e La veglia in cui scolpisce il vuoto.
Del Tito Livio del Liviano di Padova è presente un grande calco in gesso realizzato in occasione della mostra del 1967. Lo accompagna il bozzetto in bronzo, che di recente abbiamo apprezzato al Mart di Rovereto alla rassegna “Giotto e il Novecento”.
Seguono poi le sezioni di ricerca e sperimentazione sulle maioliche e sul ciclo di Blevio, paese del lago di Como (piccoli capolavori in gesso). Sulle pitture, che svelano un Martini inedito. Sulla maturità e i capolavori del Bailo declinati in chiave cubista che lo portano a considerare la “scultura lingua morta”. Per Martini la scultura è legata alla statuaria, non ha sviluppato una lingua propria, un senso per se stessa, ma vale perché imitazione della realtà. L’astrazione è “vile e comoda”. In pittura, al contrario, “un pomo vale una Venere”, un artista può comunicare attraverso una mela senza sembrare ridicolo. Martini, fra dubbi e ripensamenti, aspira a creare il capolavoro, un’opera che non sia prigioniera di uno stile ma “disinvolta sostanza”. Un’insondabile architettura per raggiungere l’universale. Riuscirà a sentirsi artista, non più statuario, con Donna che nuota sott’acqua (1941-42), il fiore delle sue ricerche.
Il Palinuro del Bo, a Padova, dedicato al partigiano “Masaccio”, sarà invece il suo ultimo lavoro (1946-47), prima della scomparsa. E sarà anche la prima statua dedicata a un partigiano.
Arturo Martini e l’epurazione
Dopo la guerra Martini subì un processo di epurazione per adesione al fascismo e venne sospeso dall’insegnamento all’Accademia veneziana. “Io faccio il mio mestiere di fare statue e lavoro per chi me le ordina, ma non so di politica”, ebbe ad affermare. Venne poi riammesso alla cattedra, ma vi rinunciò. “Durante il fascismo godette sempre di grandissima libertà nel suo lavoro”, hanno dichiarato i curatori in conferenza stampa. E la mostra, aggiungiamo noi che l’abbiamo visitata, offre una panoramica notevole di questa autonomia. La rassegna del Bailo verrà inaugurata il primo aprile e si chiuderà, salvo proroghe, il 30 luglio prossimo.